Asti: carcere, sovraffollamento e covid-19

In particolare in relazione alla prevenzione della diffusione del virus, per cui il distanziamento fisico assume un’importanza determinante, la questione del sovraffollamento degli istituti penitenziari rappresentava sin dall’inizio della pandemia un diffuso elemento di preoccupazione, come emergeva già un anno fa anche dal richiamo di Papa Francesco: “Ho letto un appunto ufficiale della Commissione dei Diritti Umani che parla del problema delle carceri sovraffollate, che potrebbero diventare una tragedia. Chiedo alle autorità di essere sensibili a questo grave problema e di prendere le misure necessarie per evitare tragedie future”. Tali parole erano sottolineate dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Mauro Palma: “Ponendo l’accento sulla gravità dell’ingresso del virus in un mondo chiuso, del rischio per chi qui vive e lavora, della situazione esplosiva negli istituti di pena, il Papa ha voluto ricordare che anche il carcere è parte di tutti noi e della società nella sua complessità”.

di Domenico Massano

Il Covid-19 è, purtroppo, recentemente entrato nella Casa di Reclusione di Asti contagiando un numero rilevante di persone ristrette e di agenti. La tempestiva somministrazione dei vaccini e l’assunzione di specifiche misure sanitarie sembrano avere contenuto la diffusione del virus che, tuttavia, ha contribuito ad alimentare timori e ad amplificare preesistenti criticità con inevitabili ricadute negative sull’intera comunità penitenziaria.

In particolare in relazione alla prevenzione della diffusione del virus, per cui il distanziamento fisico assume un’importanza determinante, la questione del sovraffollamento degli istituti penitenziari rappresentava sin dall’inizio della pandemia un diffuso elemento di preoccupazione, come emergeva già un anno fa anche dal richiamo di Papa Francesco: “Ho letto un appunto ufficiale della Commissione dei Diritti Umani che parla del problema delle carceri sovraffollate, che potrebbero diventare una tragedia. Chiedo alle autorità di essere sensibili a questo grave problema e di prendere le misure necessarie per evitare tragedie future”. Tali parole erano sottolineate dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Mauro Palma: “Ponendo l’accento sulla gravità dell’ingresso del virus in un mondo chiuso, del rischio per chi qui vive e lavora, della situazione esplosiva negli istituti di pena, il Papa ha voluto ricordare che anche il carcere è parte di tutti noi e della società nella sua complessità”.

Con l’arrivo della pandemia era ben chiaro, quindi, che il tema del sovraffollamento delle carceri da condizione oggettiva di trattamento degradante (per cui l’Italia è stata in passato condannata dalla Corte Europea dei diritti umani), era diventato anche una questione di salute pubblica.

A livello nazionale si è cercato di agire immediatamente sbloccando percorsi di accesso a misure alternative alla pena detentiva che prima erano negati e/o non presi in considerazione (elemento su cui sarebbe opportuno fare qualche riflessione). Le persone detenute in carcere in Italia sono così passate da 61.230 a febbraio 2020 a 53.697 a febbraio 2021, con una parziale ma insufficiente diminuzione del tasso medio di affollamento che è rimasto al 106,2%, rendendo difficilmente comprensibile, come affermato sul recente Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, il fatto che continuino ad essere ristrette 19.040 persone con un residuo pena inferiore ai tre anni, dunque potenzialmente ammissibili a una misura alternativa alla detenzione, quando “se solo metà di loro ne fruisse si risolverebbe in gran parte del problema dell’affollamento carcerario italiano” (senza dover così assecondare il presunto bisogno di nuove costruzioni).

Concentrando lo sguardo sulla situazione astigiana, sempre dal Rapporto di Antigone emerge come la Casa di Reclusione di Quarto registri un tasso di sovraffollamento del 146,3% (ben al di sopra della soglia da rispettare, il peggiore in Piemonte e tra i peggiori in Italia). La presenza media di 300 persone detenute a fronte di una capienza massima di 205 posti ha, infatti, determinato il protrarsi di una situazione preoccupantemente pericolosa nel corso della pandemia, in cui l’indice di affollamento dell’istituto è rimasto costantemente sopra ogni prudente soglia di sovraffollamento, nonostante le indicazioni degli organismi di garanzia e sanitari, internazionali e nazionali, come ha evidenziato il Garante regionale Mellano.

Il problema del sovraffollamento dell’istituto astigiano (e di tutte le sue conseguenze umane, sociali e sanitarie) forse avrebbe dovuto essere affrontato da tempo, ma ad oggi, anche in relazione alla recente diffusione del virus, è ormai chiaro come sia necessario considerarlo una questione non più rimandabile. Purtroppo, però, tale aspetto sembra quasi scomparire nelle dichiarazioni istituzionali e nel dibattito pubblico, rischiando di alimentare il diffondersi, come stigmatizzato dal Garante nazionale Mauro Palma, di fenomeni “di richiesta populista di penalità, di diminuzione della pietas e di irrazionalità nell’intervento penale”.

Il tema del sovraffollamento, seppur prioritario, non è certo l’unico da affrontare ma si affianca (sovente con ripercussioni negative), ad altre problematiche come la sospensione a tempo indefinito delle attività formative e lavorative, le carenze di personale, …, e, più in generale, la possibilità di garantire la finalità rieducativa della pena, come previsto dall’articolo 27 della Costituzione. 

È importante tener conto della complessità di tale quadro e delle sue croniche criticità che si ripercuotono sull’intera comunità penitenziaria, per non correre il rischio di limitarsi a letture securitarie, spesso parziali, e senza dimenticare mai, come sottolineato nelle recenti e promettenti dichiarazioni della Ministra della Giustizia Cartabia nel suo discorso al DAP, che “Il carcere è davvero un luogo di comunità, dove il benessere di ciascuno alimenta quello di tutti e dove il disagio, la paura, la malattia di uno si riverbera su tutti. Anche sotto questo profilo la pandemia ha operato come una lente di ingrandimento portando in evidenza ciò che il carcere è, ciò che lo contraddistingue in tutti i suoi aspetti. Non trascuriamo mai questa dimensione comunitaria che lega profondamente tutti e ciascuno”

N. B.: vedi anche: Chi ha varcato la soglia: il carcere di Asti, la città e il Covid-19Gazzetta Dentro 2020: uno spiraglio tra carcere e società.

DICA 32 – SALUTE BENE COMUNE

Cittadinanzattiva Piemonte APS di Torino promuove un percorso partecipato di azioni a contrasto delle disuguaglianze di salute e per diffondere un approccio e una cultura della “salute in tutte le politiche”.

La salute, oltre ad essere un Diritto fondamentale, è innanzitutto un bene comune.

Possiamo considerarla, a tutti gli effetti, un patrimonio personale e collettivo essenziale per lo sviluppo sociale ed economico degli individui, delle famiglie e di tutta la comunità.

Infatti, raggiungere e mantenere il miglior stato di salute possibile ci permette di avere una buona qualità di vita e di godere della possibilità di progredire economicamente, socialmente e culturalmente.

Tutti noi siamo generalmente abituati a pensare alla salute come a uno stato fisico o mentale legato prevalentemente alla presenza o assenza di malattia. Inoltre, è ancora molto diffusa la concezione secondo cui la promozione della salute si sviluppa principalmente attraverso la modifica di abitudini o comportamenti individuali e che sia materia esclusiva delle politiche sanitarie.

È davvero solo questo? È compito esclusivo dei Servizi Sanitari occuparsi della salute o il fenomeno è più complesso?

È possibile rispondere a queste domande riflettendo sul fatto che lo stato di benessere è determinato da comportamenti personali e stili di vita; fattori sociali che possono rivelarsi un vantaggio o uno svantaggio; condizioni di vita e di lavoro; accesso ai servizi sanitari; condizioni generali socio-economiche, culturali e ambientali. Queste sono definite “Determinanti Sociali della Salute” e condizionano fortemente il modo in cui viviamo, cresciamo, invecchiamo.

Ambienti di lavoro sicuri, condizioni di lavoro dignitose e adeguatamente retribuite, l’accesso a un’istruzione ben organizzata e inclusiva, la possibilità di vivere in abitazioni adeguate e in un ecosistema sostenibile, per fare alcuni esempi, determinano lo stato di benessere e quindi la qualità di vita del singolo e della comunità in cui vive.

La distribuzione iniqua di risorse economiche e sociali crea differenze definite “Disuguaglianze di Salute”, queste condizionano le possibilità degli individui e delle comunità di lavorare, studiare, emanciparsi. L’OMS già nel 1996 invitava “a rendere possibile lo sviluppo di politiche per la salute pubblica, la prevenzione delle malattie, la promozione della salute che favoriscano l’equità sociale nell’ambito dello sviluppo sostenibile”.

Non a caso, il tema delle fragilità, cronicità e disabilità è oggi più che mai centrale.

 “DICA32 – SALUTE BENE COMUNE” è un percorso partecipato promosso da un gruppo di soci e socie all’interno di Cittadinanzattiva Torino allo scopo di sostenere azioni di contrasto delle disuguaglianze di salute e diffondere un approccio e una cultura della “salute in tutte le politiche”.

L’obiettivo di questo percorso è sviluppare e realizzare i punti del manifesto.

Una rete di associazioni per promuovere un nuovo stile di vita e formule partecipative: Asti Cambia

Una rete di cittadini e organizzazioni della società civile, apartitica e spontanea nasce come iniziativa di cittadinanza dal basso, per sensibilizzare e promuovere azioni e pratiche concrete di mobilità sostenibile nella città di Asti

Azioni che in risposta a problematiche ambientali, di salute e di educazione civica uniscono cittadini e associazioni: dalle manifestazioni nei quartieri alle proposte pedagogiche, alle osservazioni del Piano del traffico del Comune, alle piste ciclabili, alle attenzioni per una accessibilità ai servizi, alla realizzazione di un Tavolo partecipato per la mobilità sostenibile con le istituzioni.

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Un progetto in Piemonte per i caregiver: Vinovo e Nichelino (To)

L’Istat ha stimato che i caregivers in Italia sono oltre il 17% della popolazione e vale a dire almeno 8,5 milioni. Di questi almeno 7,3 milioni (14,9%) sono familiari delle persone bisognose di cure e le famiglie con i casi più gravi che richiedono quindi uno sforzo maggiore sono 600mila.

Photo by Matthias Zomer on Pexels.com

Articolazione del progetto con particolare riferimento:

  • alle modalità e alle diverse fasi di attuazione;
  • alla congruità, coerenza, completezza e rispondenza dello stesso rispetto agli obiettivi, alle aree prioritarie di intervento ed alle attività di interesse generale;
  • alle sinergie e alle collaborazioni;
  • ai luoghi/sedi di realizzazione delle attività.
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Comunità di Pratica in Piemonte: Piossasco (To)

Il progetto di Piossasco viene preso come esperienza di riferimento da altri Comuni.
Una sperimentazione valutata anche da alcune Università Italiane: un esempio di buona prassi del prendersi cura delle persone fragili e della comunità.

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Comunità di Pratica in Piemonte: la sperimentazione a le Vallette

Intervista a Silvia Pilutti ricercatrice e psicosociologa

Dopo aver raccontato l’esperienza positiva del progetto “La Cura è di Casa”, un’altra esperienza piemontese altrettanto positiva e vincente si inserisce nell’ambito dell’Osservatorio sulla partecipazione in sanità, del progetto “Partecipazione civica in sanità: qualificare le pratiche di democrazia partecipativa” di cui Cittadinanzattiva si sta occupando da tempo.

Parliamo del progetto “Azione per il potenziamento e supporto agli interventi sul diabete alle Vallette”, nato in seguito alla adozione da parte della Regione Piemonte del Piano Nazionale Cronicità che ha previsto di formulare delle proposte innovative per la presa in carico e la prevenzione delle malattie croniche.

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Comunità di Pratica in Piemonte: la sperimentazione nel Verbano

Intervista a Chiara Fornara, direttore del Consorzio Servizi Sociale del Verbano


In Piemonte sono molte le esperienze vincenti di coinvolgimento dei cittadini e delle comunità ma la Regione e le aziende sanitarie non si sono ancora dotate di politiche adeguate in grado di mettere a sistema le esperienze stesse e di svilupparne di nuove. È questa una delle cause della debolezza del territorio messa in evidenza dalla pandemia e proprio per questo, le politiche di partecipazione dovrebbero essere considerate prioritarie, come raccomandato in questi anni dall’OMS e oggi dal Patto della Salute con la scheda 14.

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