RSA, Covid e l'”anziano medio”

Ne parliamo con il Paolo Henry, già insegnante di Psichiatria sociale presso l’Università di Torino e di Aosta, già referente per il Superamento dell’Ospedale Psichiatrico di Grugliasco.

di Tiziana Valente

La notizia. La Regione Piemonte fornisce 44,5 milioni di contributi/ristoro per Rsa e strutture socio-assistenziali: “oltre 1800 strutture che in Piemonte erogano prestazioni di carattere residenziale di tipo sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale ad anziani, minori, disabili, persone affette da tossicodipendenza o da patologie psichiatriche e la cui situazione finanziaria è in sofferenza a causa delle maggiori spese e delle minori entrate causate dall’emergenza epidemiologica.

La legge approvata dal Consiglio regionale stanzia, in particolare, 30 milioni per integrare le maggiori spese sostenute dalle strutture sostenute per sanificare gli ambienti, acquistare Dpi, pagare il personale, smaltire i rifiuti speciali, mettere in sicurezza gli ospiti e gli operatori e migliorare la qualità dell’assistenza, 10,1 milioni ai titolari di autorizzazione al funzionamento non convenzionati con il sistema socio-sanitario regionale, 1,5 milioni per i fornitori accreditati di prestazioni domiciliari sociali e sanitarie, 3 milioni complessivi (uno, rispettivamente, per gli anni 2021, 2022 e 2023) per esentare le aziende pubbliche di servizi alla persona dal versamento dell’Irap. Previsti l’accesso al Fondo di garanzia sui finanziamenti a tasso fisso e variabile per Rsa e strutture sociosanitarie autorizzate e accreditate”. (https://www.regione.piemonte.it/web/pinforma/notizie/445-milioni-contributi-per-rsa-strutture-socio-assistenziali)

A Febbraio di quest’anno la Regione calcolava 36.147 posti letto accreditati e in costruzione per anziani non autosufficienti (esclusi i posti letto per Alzheimer) per una popolazione calcolata al 2018 in 1.113.404  unità. (https://trasparenza.regione.piemonte.it/strutture-sanitarie-private-accreditate)


Ne parliamo con il Paolo Henry, già insegnante di Psichiatria sociale presso l’Università di Torino e di Aosta, già referente per il Superamento dell’Ospedale Psichiatrico di Grugliasco.

Professor Henry, sembra che le strutture di ricovero per anziani abbiano subito gravi danni economici a causa della pandemia…

Eh già, come tante altre attività economiche hanno perso la materia prima, gli anziani e i disabili in questo caso.

Beh, con 1800 posti letto inutilizzati in Piemonte molte strutture sono a rischio di chiusura con perdita di molti dipendenti.

Vedi, il problema non è morire ma vivere e vivere gli ultimi momenti di vita, ribadisco VITA, in questi mesi per molte persone è stato uno strazio assurdo. È ormai chiaro che i nosocomi, come le carceri e i manicomi, sono luoghi di chiusura al mondo, con personale che entra ed esce e rientra, sono luoghi in cui un fatto endemico moltiplica in maniera esponenziale uno stato di disagio. Chi li gestisce ha fatto subito la cosa ovvia e semplice: chiudere ancora di più le persone entro quei luoghi, con il risultato che tra paura e solitudine vivere lì dentro non deve essere stato affatto piacevole.

Ma la questione non è ancora questa, per quanto esecrabile: il velo che si è tolto sul sistema degli accreditamenti di posti letto ha solo fatto vedere che è ancora quello di trent’anni fa. Sembra che i discorsi che Basaglia, Pirella e molti altri facevano negli anni ‘70 del secolo scorso siano valsi a nulla: l’istituzionalizzazione della malattia e in questo caso dell’anzianità come malattia, quindi l’istituzionalizzazione dell’anzianità sembra ancora più cogente di allora. Chi non serve più, da fastidio, lo separo dal resto della comunità. Più la struttura è grande, più si è costretti a regolamentare, uniformare, aumentando così il danno alla persona.

Sono discorsi antichi dei quali non s’è capito nulla: come è possibile avere ancora oggi grandi strutture con anche più di 100 posti letto? Questo significa solo implementare un commercio che si basa sui numeri e non tiene conto che quei numeri sono persone, individui con una propria storia, proprie abitudini; necessariamente, per restare nei costi, chi gestisce la mega struttura azzererà la personalizzazione delle cure, dei servizi, degli orari, dei pasti,… Significa per quelle persone essere più nulla. Questa idea di un “vecchio medio” cui fornire servizi in strutture con grandi numeri è inevitabile ma anche molto scorretta perché l’anziano, nel corso della propria vita ha selezionato una serie di necessità e abitudini, dall’alimentazione agli orari: ciò avviene al di là delle buone intenzioni del gestore.

Forse piccole case sparse sui territori, luoghi di accoglienza e cura, residenze per non più di 15 persone, con personale formato possono avere senso e dare ancora vita dignitosa alle persone.

Ecco, professore, ancora due parole sulla formazione. Sappiamo di un rituale che ricorda il meccanismo della porta girevole delle strutture per malati mentali: una crisi in comunità, accesso in repartino, ritorno in comunità, crisi,… Anziani che per problemi risolvibili in residenza spesso vengono inviati in Pronto Soccorso con tutto quel il seguito devastante per il paziente che, disorientato, sosta anche giorni su una barella d’ospedale…

L’università ha difficoltà strutturali e culturali per fornire utili elementi per adeguare gli studi teorici alle necessità pratiche delle persone e alla gestione quotidiana; cosa forse superabile con idonei tirocini ma sicuramente con un generale cambiamento culturale che coinvolga la società intera.

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